“Il Vento caldo dell’estate” è la canzone che sta passando alla radio quando dalla periferia nord di Viterbo imbocco la strada Tuscanese per raggiungere il cantiere Fiorillo. La canzone continua a riempire l’abitacolo insieme all’aria condizionata che mitiga un po’ la temperatura di questo caldo agosto. Il cantiere non è difficile da trovare, anche perché s’intravede una parte della Macchina di Santa Rosa che svetta sui tetti dei capannoni industriali che riempiono la zona, faro a tutti i naviganti incuriositi che passano di lì. Non è il solito cantiere tutti zitti e lavoro: qui si parla, ci si confronta e si ascoltano i consigli.
”Questa è una grande famiglia – mi dice Vincenzo Fiorillo, il titolare costruttore, che insieme ai figli Mirko e Alessio ed al nipote Lorenzo forma la corteccia di questa azienda viterbese, “non c’è un segreto vero e proprio; quello che ci unisce è la passione, è la voglia di realizzare qualcosa di bello per questa città.”
Le parole arrivano ai giovani che lavorano con lui, a iniziare dai figli Mirko e Alessio e fino alla terza generazione. “La gente si ferma in continuazione per vedere come stanno andando avanti i lavori,” mi dice Mirko, “non solo i viterbesi, ma anche gente che si trova in vacanza da queste parti incuriosita da questo campanile ci viene a chiedere cos’è, e noi con orgoglio raccontiamo la nostra tradizione.” Il pomeriggio scorre veloce, c’è anche il tempo di una sosta rinfrescante al sapore di cocomero. Continuo a scattare immagini, ma un dettaglio attira la mia attenzione. Il figlio Alessio è alle prese con l’ancoraggio di un modulo della Macchina che verrà calato a terra su di una sorta di carrello e ricoverato orizzontalmente all’interno del capannone, pronto per gli ultimi ritocchi. E nel momento in cui avviene lo sgancio dal modulo si formano due guglie che mi ricordano quelle della Sagrada Familia spagnola, delle grandi cattedrali del passato: delle colonne che si slanciano verso il blu del cielo, a ricordare che la sede della cristianità si trova al di sopra della nostra esistenza terrena. Ho l’impressione di essermi introdotto dentro una sorta di cappella del Graal, un luogo misterioso nel cuore della città di Viterbo. Incontro anche Raffaele Ascenzi, ideatore della Macchina, che mi spiega l’origine di tanta pregevole potenza figurativa. Mi porta poi ad incontrare maestranze e artigiani viterbesi che hanno forgiato la scenografia, composta tutta in polistirolo, sagomata in 3D.
Siamo arrivati alla sera, e la giornata per lo staff Fiorillo non è ancora terminata, in quanto si vuol provare una parte d’illuminazione. E così la notte viene illuminata dalle luci calde che l’architetto Raffaele Ascenzi vuole dare a questa nuova versione della Macchina di Santa Rosa, “Dies Natalis”. “Dies Natalis” è tanta passione e amore, è il lavoro di tanti uomini e donne che stanno realizzando giorno dopo giorno il proprio sogno, comporre un’opera unica al mondo, di portare con sé per sempre un tatuaggio indelebile, dove c’è scritto un solo nome, Santa Rosa da Viterbo.
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