Ogni fotografo deve essere un fine osservatore della realtà a lui circostante. Recentemente, mi è capitato di passeggiare per le “Forre” del Monumento Naturale di Corchiano, un piccolo borgo a sud-ovest di Viterbo. Queste “strade”, scavate nel tufo e anticamente utilizzate come vie di comunicazione, adesso invece trasportano il visitatore verso una realtà parallela.
Da fotografo, semi-digiuno di nozioni di archeologia e privo della smania del turista, mi è sembrato che il luogo si prestasse bene a degli scatti che facessero percepire questa sua alterità, il suo trovarsi ai margini del quotidiano. Parcheggio l’auto in Piazza del Bersagliere, proprio accanto al Palazzo Comunale, e con Fabio che mi accompagna in questa visita, ci incamminiamo verso l’accesso lì vicino. Scendendo gli svariati gradini, abbiamo l’impressione che il mondo circostante lentamente ci stia abbandonando: il rumore delle macchine si ovatta, non giungono più grida umane, il telefono non squilla – non c’è campo, infatti.
Siamo isolati, la nostra camminata è accompagnata solo dal cristallino rumore di un ruscello. È come immergersi nella propria interiorità, nel subconscio, oserei dire: infatti il parco si trova sotto il livello del paese, nello strato suburbano.
Percorrendo le forre, maestose vie etrusche scavate nel tufo, ripenso alle persone che, migliaia di anni fa, prima ancora della civiltà latina, calcavano quei sentieri, e mi pare di sentire un chiacchiericcio antico, le loro parole. A parte la poeticità del luogo, notiamo che, benché tutto sommato il percorso sia adatto a molte persone, in alcuni punti ha una sua pericolosità, e forse richiederebbe qualche misura di sicurezza ulteriore (oltre che qualche cestino).
A testimonianza della tranquillità del posto, gli unici abitanti sono dei docili asini allo stato brado, che si nutrono di ciò che trovano. Rivolgono uno sfuggevole sguardo al turista, tornando alle loro attività.
Dal bosco, poi, intravediamo il paese che, arroccato sul tufo, appare come una prua di una nave che solca un mare verde, fatto di fogliame. A un certo punto ci troviamo su un ponticello e notiamo la fonte del rumore dell’acqua: il ruscello forma una graziosa cascata.
Rinfrancati nello spirito e nella mente dalla frescura del posto, ci apprestiamo a riemergere. Lentamente, mentre risaliamo verso il borgo, sentiamo come di stare uscendo da una bolla, tornando al rumore, agli strepiti e al caos della quotidianità.
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