E Santa Rosa sia

E Santa Rosa sia. Cresce l’attesa per la notte del 3 settembre, quando tutte le luci del centro storico della città dei Papi si spegneranno e si vedrà solamente la luce immensa emessa dalla Macchina di Santa Rosa, che attraverserà le vie della città portata a spalla da cento uomini che si accolleranno (nel vero senso della parola) la responsabilità di trasportarla da Porta Romana al Santuario a lei dedicato.

Mancano pochi giorni al trasporto, e nella città già si avverte aria di festa, un sentimento represso nei due anni di pandemia e che ora ritorna ad esplodere con eventi legati all’immagine della Santa, come i tradizionali trasporti di “mini-macchine” nei vari quartieri della città realizzati dai ragazzi viterbesi. Per uno che, come me, non risieda a Viterbo non è semplice entrare nella “modalità Santa Rosa”, per questo ho girato la città trovando persone e cose che aiuteranno il turista nell’impresa.

Devo confessare anche che trovare i biglietti per assistere al trasporto dalla tribuna in Piazza del Plebiscito non è stato agevole, ma alla fine sono riuscito ad aggiudicarmeli su internet con l’aiuto di mia figlia.

Inizio da Porta Romana dove incontro Roberto Ceccariglia, amico e collega, che fino al 2019 è stato facchino. A 55 anni aveva promesso di appendere il ciuffo al chiodo per dare spazio ad altre persone volenterose di partecipare al trasporto, e finora ha mantenuto la parola. Con lui entro nel piccolo cantiere dove è collocata la Macchina di Santa Rosa, dove la ditta Fiorillo la sta mettendo insieme: rimarrà custodita in un ponteggio di protezione fino alla sera del 3 settembre, quando sarà pronunciato dal capo facchino il sollevate e fermi, e la macchina inizierà a muoversi portata a spalla da 100 facchini di Santa Rosa. Devo ringraziare Vincenzo Fiorillo, il figlio Mirko e il nipote Lorenzo, che mi hanno dato la possibilità di fotografare Gloria in tutta la sua bellezza. Usciamo dal piccolo cantiere e Roberto mi dice “Sono stato per quarant’anni a portare la Santa, ne ho fatti 4 con la mini-macchina e 36 con la grande, credo che un pezzetto di storia l’ho scritta pure io – con gli occhi rivolti in alto a guardare la statua posta in cima della struttura – è una devozione e un amore smisurato che hai per Santa Rosa e per la città.” Uno sguardo ancora alla macchina, poi mi confessa una cosa: “Ho detto alla mia famiglia che al momento del trapasso vorrei essere cremato con la divisa da facchino di Santa Rosa, sia per un atto d’amore verso la Santa, sia perché è stata per molto tempo la mia seconda pelle.”

Prima di salutare Roberto mi accorgo che nella vetrina del bar antistante il riflesso della macchina si amalgama con le statue votive poste in bella vista, piccole icone che rappresentano la storia di questa festa: un’immagine che la mia macchina fotografica non può perdere. M’incammino verso Piazza del Plebiscito trasformata in un cantiere, dove un rumoroso gruppo di operai sta allestendo la grande tribuna nel punto più scenografico del percorso, perché qui la macchina farà un giro su sé stessa per salutare il pubblico che, dalle previsioni, in quel punto sarà numeroso. Passando per il corso principale noto un cartello con la scritta “Qui si vende la Pagnottella di Santa Rosa”, ovvero un tipico pane dolce fatto con noci, nocciole, uvetta e in certi casi anche con cioccolato e cannella, un noto dolce che i pasticcieri viterbesi producono nei giorni della festa.

Proseguo il percorso che farà la macchina per arrivare a Piazza della Repubblica, dove trovo un altro simbolo della festa, il monumento bronzeo dedicato ai facchini, inaugurato nel 2000 e realizzato dal maestro Alessio Paternesi. Qui la macchina girerà per arrivare a Piazza del Teatro, dove è posta l’ultima sosta (la quinta, come ricorda la lastra incastonata a terra tra i sampietrini), prima di fare l’ultimo sforzo e prendere la rincorsa per la salita che la porterà nel piazzale del Santuario, dove ad accogliere i facchini, stanchi ma felici, ci saranno i famigliari per un grande abbraccio collettivo e per gridare tutti insieme “Evviva Santa Rosa”, frase che troviamo scritta anche su uno striscione scritto a mano posto all’entrata della chiesa dov’è custodito il corpo della Santa.

Termino questa mia piccola escursione per le vie di Viterbo in festa al piazzale Gramsci, dove ai merli delle antiche mura sono appesi grandi striscioni che ricordano gli ultimi 55 anni di storia della Macchina di Santa Rosa, dal 1967 ad oggi, e dove si possono ammirare le ultime 8 meraviglie che hanno illuminato la notte del 3 settembre a Viterbo.

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