ACQUAPENDENTE – Mi abbasso ed entro, e sono subito proiettato in un’altra dimensione. Sono le antiche Carceri Vescovili di Acquapendente, che si trovano nei sotterranei del Museo della Città, che un tempo era il Palazzo Vescovile.
Quando si parla di “museo” vengono in mente solo opere d’arte o reperti archeologici; non pensi di trovare tre piccole stanze anguste, umidicce, dove secoli fa stazionavano per un periodo (più o meno lungo) gli imputati prima della sentenza, che poteva anche essere capitale.
I muri recano i segni dell’ombroso passato dei sotterranei: graffiti, disegni, simboli, scritte, dediche e oltraggi, che restano scolpiti anche nella mente del visitatore odierno.
Alle tre stanze si accede da un lungo corridoio. La prima, la più “grande” (puro eufemismo), è l’unica che presenta uno spiraglio rivolto all’esterno: lo si deduce dai segni sulle pareti, sulle quali si notano volatili e quello che i carcerati potevano vedere del mondo al di fuori della prigione.
La seconda era riservata ai condannati a morte, mentre nell’ultima, la più ricca di graffiti, con molta probabilità albergavano gli eretici e gli adulteri, come si legge nella frase incisa da uno schietto condannato che recita: “per una donna sono stato carcerato e per volegli troppo bene mi a coionato”.
Le pareti di questo antico carcere trasudano umanità: molte storie si intrecciano e svelano reati, imprudenze, cuori infranti, torti e delitti che tanta gente ha scontato nei sotterranei del Palazzo Vescovile di Acquapendente.
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