Rocche, Torri e Castelli intorno al Lago di Bolsena

C’era una volta. E qui mi fermo: questa storia di rocche, torri e castelli del lago di Bolsena non voglio raccontarla come una fiaba, ma tramite un racconto fotografico accompagnato dagli aneddoti che mi sono stati tramandati dagli amici incontrati in questo viaggio.

 

Non tutti i paesi del lago di Bolsena si sono formati direttamente sulle sue sponde: alcuni hanno scelto di stare in collina, per ragioni storiche (principalmente per difendersi meglio dalle incursioni nemiche). Montefiascone, Valentano, Gradoli, Grotte di Castro e San Lorenzo Nuovo sono arroccati sulle colline dell’antico cratere, mentre i comuni che affacciano direttamente sulle sponde del lago sono Capodimonte, Bolsena e Marta.

 

Il mio racconto inizia da Marta. A differenza degli altri due paesi affacciati sulle rive, Marta vive del lago da sempre. Se andiamo a vedere la loro evoluzione storica, scopriamo che Marta è l’unico ad avere il centro storico (cioè il suo agglomerato urbano originario) proprio sulle rive del lago, mentre sia il centro di Bolsena che quello di Capodimonte sono un po’ più ritirati presso le rispettive alture.

Persino le case di Marta sono a ridosso delle onde di tramontana e per questo, anche se qualcuno potrebbe storcere il naso, secondo me Marta è il paese sul lago di Bolsena.

 

E vicino al borgo dei pescatori incontro Angelo Prugnoli, anima storica di questo paese. “Nel 1328, la comunità di Marta era tutta raccolta sull’Isola Martana, ben 100 fuochi, ossia circa 500 abitanti. Dove oggi si trova il paese c’era soltanto una Torre di guardia fortificata con mura e difesa da diciotto soldati, che fu costruita per difesa della “Cannara”, la pescheria della Camera Apostolica. Con i Farnese, attorno alla torre fu gradualmente costruita la cittadina di Marta”.

 

Proseguiamo il viaggio verso la vicina Capodimonte. Il borgo è arroccato sulla penisola, su cui svetta la maestosa Rocca Farnese, palazzo della potente famiglia, fortificato per ospitare anche i Papi.

 

Salendo la prima collina si giunge a Valentano: anche qui, in cima al colle, una Rocca fortificata che, oltre ad essere un punto di avvistamento, fu nel 1488 la location del matrimonio principesco tra Angelo Farnese e Lella Orsini di Pitigliano, nello splendido Cortile dell’Amore che adesso accoglie i visitatori all’ingresso del museo, dove incontro ad aspettarmi Romualdo Luzi, storico esperto di questi luoghi, che ci parla dell’Isola Bisentina e delle spoglie dei Farnese.

 

Nella Chiesa dell’Isola Bisentina, dedicata ai Santi Giovanni e Cristoforo, Ranuccio II Farnese fece erigere per sé e i suoi un monumentale sarcofago, nel 1449, probabile opera di Isaia da Pisa, dove poi si farà seppellire, assieme a molti altri personaggi: Giovanni Capece Bozzuto, Giulia Farnese, Gerolama Duchessa… Demolita l’antica chiesa, il Gran Cardinale Alessandro Farnese nel frattempo aveva fatto realizzare una nuova Chiesa dedicata a S. Giovanni Battista, completata nel 1588, su progetto dell’architetto Giovanni Antonio Garzoni da Viggiù. Completata la Nuova Chiesa tutte le salme dei Farnese, a parte quella di Ranuccio II, forse rimasta nell’urna marmorea, furono collocate in casse di legno fasciate di velluto nero e collocate nella cripta sotterranea della Nuova Chiesa. Considerata l’umidità della cripta è da credere che, stante la pochezza delle sepolture, nel tempo esse si siano marcite.”

 

Saluto Romualdo, e prendo la direzione di Gradoli con la strada che costeggia il lago, nella sua zona più selvaggia. Giungo nel piccolo paese ed entro dall’unica porta di accesso e, anche qui trovo i Farnese, un altro Palazzo-Fortezza solenne e maestoso, dove ad aspettarmi c’è un amico pittore, Angelo Mariotti, bravo acquarellista, che mi racconta una storia tramandata dai nonni. “Molto tempo prima della venuta dei Farnese, al posto del palazzo cinquecentesco, c’era un castello. Nel 1328, durante la cattività avignonese, i Bavari di Ludovico IV mossero alla conquista della Tuscia. Il severo maniero di Gradoli resistette per un lungo tempo di assedio. A difesa del Castello vi erano 300 forti soldati, con a capo il valoroso e intrepido comandante Bartolomeo. Dentro il Castello viveva anche il figlioletto Giovanni che giocava con i coetanei rincorrendosi per le sale e i corridoi, lontano dagli sguardi delle nutrici. Mentre correvano Giovannino fece un balzo per superare alcuni gradini, ma malauguratamente saltò su una botola di legno e l’ignaro bambino precipitò in un pozzo profondo e stretto, concepito come trabocchetto per nemici e che venne invece la sua tomba. Cercato invano, di lui non si seppe più nulla. Successivamente il Castello venne conquistato e si racconta che alcuni soldati, mentre facevano razzia nelle stanze, scapparono precipitosamente alla visione di un fantasma bambino che attraversava pareti, piangendo e chiamando con voce disperata “babbo babbo”, le cui grida echeggiavano per tutto il maniero. Si dice ancora oggi che nel Castello, nel frattempo divenuto Palazzo Comunale, durante le giornate invernali di forte vento e all’imbrunire si sentano i lamenti del povero Giovannino”.

 

Un saluto ad Angelo, e arrivo a Grotte di Castro dove trovo un amico di vecchia data, Guglielmo Salotti, insegnante, storico e scrittore, che dalla sua dimora può ammirare il borgo in tutta la sua bellezza, che inizia a raccontare: “Le incessanti lotte che nel corso del Medioevo contrapposero Chiesa e Impero ebbero ripercussioni su varie località di Toscana, Umbria e zone limitrofe, da Montefiascone ad Acquapendente, da Viterbo all’allora Toscanella (ora Tuscania). Ma non furono questi i soli centri a subire le conseguenze dei contrasti tra Guelfi e Ghibellini; ne furono infatti interessati anche Castelli più piccoli, destinati a divenire bersagli (più o meno consapevoli) ora dell’uno ora dell’altro schieramento, a seconda dei loro successi (o rovesci) militari. Le vicende del Castello delle Grotte – prima dizione del nome del paese, che si chiamerà poi “Grotte”, “Grotte San Lorenzo” e, dopo l’annessione al Regno d’Italia, “Grotte di Castro” – non fanno a questo riguardo eccezione, anche se, più che dal conflitto tra Chiesa e Impero, esse furono però per molto tempo condizionate da altri, più locali, come quello tra Acquapendente e Orvieto, almeno sino alla metà del 1300.

 

Da allora, per secoli, il Castello delle Grotte venne quasi ininterrottamente a trovarsi sotto l’assoluto dominio della Chiesa, testimone della distruzione di Castro del 1649 e della fine del Ducato omonimo. Avvenimenti che forse ebbero per Grotte conseguenze di natura anche artistica, se risponde al vero una voce che collocherebbe nella distrutta Castro la scalata a chiocciola, in lava basaltica, che farà poi bella mostra di sé all’interno dell’ex Palazzo Comunale (ora Museo Civita) di Grotte di Castro. Troppo vaga, tale “voce”, per poterla accettare in toto, e il cui scandaglio va lasciato a veri esperti e a documenti più attendibili”.

 

E si scende di nuovo verso il lago, per un caffè nella bellissima Piazza Europa di San Lorenzo Nuovo. Una piazza ottagonale, vero cuore del piccolo paese dell’alta Tuscia, realizzata nel 1774 dall’architetto Francesco Navone, ispiratosi alla famosa piazza Amalienborg di Copenaghen.

 

Proseguo sulla Cassia, direzione Bolsena, ma già da qui si può vedere la Rocca Monaldeschi della Cervara, austera e sovrastante il quartiere Castello, dove ritrovo un amico, Fabio D’Amanzio, poeta e animatore consumato, che mi descrive un episodio successo proprio in quel luogo: “Ludovico IV, duca di Bavaria, riprese il suo viaggio per tornare in Baviera dopo aver fatto una sosta prima a Viterbo, dove fu raggiunto dall’antipapa Niccolò V. La presenza nella Tuscia di Niccolò V lasciò una significativa traccia, soprattutto nel viaggio di ritorno nell’estate del 1328. La difficoltà di approvvigionamento delle truppe e la lotta con il papato provocarono per diversi borghi e castelli distruzione e rovina. L’imperatore pose sotto assedio Bolsena tra il 10 e il 14 agosto, ma l’ardore nel combattimento dei bolsenesi fu tale che questi riuscirono a contrastare i ripetuti assalti alla Rocca Monaldeschi. La mattina del 15 agosto 1328, l’imperatore decise di togliere l’assedio intorno a Bolsena e fece ritorno a Viterbo. Il bolsenese Pietro Corradi, testimone degli eventi, ne raccontò la cronaca”.

 

Questo mio viaggio-racconto sta quasi per concludersi, ma prima devo raggiungere Montefiascone, il punto più alto del cratere, dove ad aspettarmi trovo Quinto Ficari, un amico puntiglioso scrittore della storia di questa Terra, che mi racconta una storia bellissima: “La Rocca dei Papi di Montefiascone assume la sua connotazione di fortezza vera e propria sotto il pontificato di Innocenzo III, e per diversi secoli, almeno fino al 1500, fu una delle fortificazioni più importanti dell’allora Patrimonio di San Pietro. Come si evince dal suo nome, la Rocca di Montefiascone fu frequentata da diversi papi, e non solo: imperatori, santi, condottieri, artisti e quant’altri hanno avuto a che fare con la fortezza…

Spesso non si sa che la vicenda di una delle favole più note al mondo, Cenerentola, si svolge nel castello di Don Magnifico, Barone di Montefiascone! La fiaba è nota soprattutto nella versione del francese Charles Perrault, “Cenerentola e la scarpetta di cristallo”, del 1697, cui si è ispirato Giacomo Ferretti, librettista della famosa versione della Cenerentola di Giacomo Rossini, che fu rappresentata per la prima volta al Teatro Valle di Roma durante il Carnevale del 1817. Anche in questo caso la scena si svolge nel Castello di Montefiascone, residenza di Don Magnifico. Come non pensare che il castello di Don Magnifico, protagonista dello svolgersi dei fatti, non sia l’unico castello di Montefiascone, la Rocca dei Papi, appunto?”

 

Il mio viaggio-racconto intorno al Lago di Bolsena termina qui. Non posso che ringraziare gli amici Angelo Prugnoli, Romualdo Luzi, Angelo Mariotti, Guglielmo Salotti, Fabio D’Amanzio e Quinto Ficari che con le loro storie mi hanno fatto vivere in modo più o meno romanzato il passato, eredità del nostro popolo, di questo territorio ricco di storia e cultura, che, dal canto mio, ho voluto filtrare attraverso le lenti della mia fotocamera.

 

 

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